Paolo Di Stefano: Il piacere di leggere

17 Gennaio 2003
Quanti slogan sono stati utilizzati dagli editori per convincere il pubblico che vale la pena leggere. E quanti se ne potrebbero usare. Frasi celebri e autorevoli: «La lettura fa l’uomo completo» (Bacone), «La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati» (Cartesio), «Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come fanno gli ambiziosi per istruirvi. No, leggete per vivere» (Flaubert), «... non avendo mai io avuto un dolore che un'ora di lettura non abbia dissipato» (Maupassant), «Il mondo è fatto per finire in un bel libro» (Mallarmé), «Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere» (Pennac). E si potrebbe continuare. Deve essere proprio vero che leggere è una buona cosa, se tanti cervelli, nella storia, hanno speso tante parole per dirlo. Ma non c’è da stupirsi che Cartesio non venga molto ascoltato e che piuttosto che «conversare con gli uomini migliori dei secoli andati», si preferisca rid ere a crepapelle con Christian De Sica. Né c’è da stupirsi se come testimonial per la promozione di un prodotto funziona più Boldi che Flaubert. Il fatto è che il libro non è un oggetto come gli altri e per venderlo non bastano i migliori persuasori occulti o gli slogan più fantasiosi. Pensate: «Boccaccio, più lo mandi giù più ti tira su», «La cognizione del dolore, il romanzo dell’uomo forte», «Pratolini, contro il logorio della vita moderna», «Silone, cosa vuoi di più dalla vita!», «La grande sera, il romanzo che crea un’atmosfera», «Uno, nessuno e centomila? Ah, il signore sì che se ne intende», «Eco, e sai cosa leggi», eccetera. Niente da fare. Meglio affidarsi ad altro che alle iperboli e alle metonimie della pubblicità. Per dire a tuo figlio perché vale la pena leggere un buon libro, potresti partire da certe parole di Calvino, senza dirgli che sono di Calvino per non spaventarlo. Forse potresti cercare di buttargli là una frase tipo: un buon romanzo è come un antico talismano che ti apre la porta verso mondi straordinari. Potresti dirgli: un buon romanzo aiuta a definirti rispetto al mondo e rispetto a te stesso, e in ogni caso getta una luce nuova sul tempo in cui vivi. No, niente da fare, sai benissimo che non funziona : troppo complicato, artificioso, astratto, intellettuale. Allora forse potresti raccontargli semplicemente una storia. Per esempio, la strana storia di un commesso viaggiatore che si sveglia una mattina e si accorge di essere diventato un enorme scarafaggio. Oppure la storia di una moglie insoddisfatta di un alto funzionario russo, che da Pietroburgo fugge in Italia con l’amante di cui è rimasta incinta... Oppure la storia di un barone che riuscì a riemergere da una palude tirandosi per i capelli... Oppure la storia di un colonnello, padre di 17 figli illegittimi, fautore di ben 32 guerre civili che regolarmente ha perso... Oppure la storia di un tale che legge sul giornale di essere morto suicida... Oppure la storia di uno che vende la s ua ombra al diavolo ottenendo in cambio una borsa miracolosa... Oppure la storia di un ragazzo che per sfuggire alla severità dei suoi educatori decide di salire su un albero e di non discenderne più... Oppure la storia di uno che può impossessarsi di una cospicua eredità solo a patto che sposi una donna che non conosce... Oppure la storia di un capitano di vascello che per gelosia viene arrestato proprio nel giorno delle sue nozze... Oppure la storia di un cavaliere che assalta dei mulini a ven to scambiandoli per giganti... Tante storie lasciate sadicamente in sospeso, che costringano tuo figlio a chiederti ogni volta: ma come va a finire? No, no. Non è possibile, tutti sappiamo bene che un romanzo non è semplicemente la sua trama. Altrimenti chi ce lo farebbe fare a leggere mille pagine dei Miserabili, quando potremmo benissimo liquidare la faccenda in poche righe per sapere che Cosetta sposerà Marius. Il fatto è che senza sapere niente sulla conversione dell’ex galeotto Jean Valjean, senza conoscere Fantine, e senza avere nessuna idea sulle ragioni per cui il commissario Javert si intestardisce tanto a cercare Valjean, senza sentire gli odori e i sapori di quella Parigi, insomma, senza leggere I Miserabili, cioè senza penetrare nel loro mondo, nella testa e nel cuore dei suoi personaggi, del destino di Cosetta non ce ne importa niente. Perché mai dovremmo preoccuparci di qualcuno che non conosciamo? Accontentarsi delle trame, sarebbe come per un tifoso rassegnarsi a guardare le sintesi con i gol delle grandi partite, senza viverle per intero in diretta. Altra cosa è, come diceva Calvino, entrare in quell’universo straordinario che è un romanzo, perdersi e ritrovarsi, perdersi per ritrovarsi nei suoi labirinti. A pensarci bene, in fondo forse potresti ricordare a tuo figlio che chi ne ha un’esperienza intensa, paragona la lettura a tutte le cose piacevoli o esaltanti della vita: mangiare, viaggiare, amare, sognare a occhi aperti. E se alla fine proprio non ti crede, pazienza: siediti e dimentica tuo figlio per qualche ora (qualcuno ha scritto che la lettura non sopporta l’imperativo), rilassati e goditi il tuo romanzo in santa pace. Disponiti, come scrisse il poeta portoghese Fernando Pessoa, a «vivere la vita che altri sognarono». Che rimane pur sempre un’ottima possibilità.

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …