Giorgio Bocca: Torino e Agnelli. Una città, un mito

27 Gennaio 2003
Certamente perché era un ricco e potente, ma un ricco sociale, un ricco con cose importanti alle spalle, un ricco che rappresentava una città, una borghesia, una industria che contavano. Spesso è così delle personalità che hanno un rilievo storico. Lo hanno per le loro qualità e magari anche per i loro vizi personali ma soprattutto perché stanno sull´onda del loro tempo, su ciò che hanno alle spalle. C´è un quadro dei fondatori della Fiat che lo spiega.
Al centro del quadro c´è il fondatore Giovanni Agnelli, ex ufficiale di cavalleria, accanto ci sono un Biscaretti di Ruffia e altri nobili, c´è la Torino che ha perso la capitale e la direzione politica del paese ma che si rifà con l´industria, con il progresso, con il denaro senza perdere la continuità con la storia, con lo Stato sabaudo, con i giorni miracolosi del Risorgimento.
Gianni Agnelli diventa un sostituto del re, un continuatore della monarchia perché la società alto borghese aristocratica che si è saldata dietro gli Agnelli non è semplicemente una associazione di ricchi, ma una corte ancora egemone nella città, una corte che gli snobismi, la retorica e anche le stupidità delle vere corti, ma che sta dentro la società e ne conserva le virtù mentre tiene testa al nuovo. Non è più quella del miracolo risorgimentale ma è ancora quella che ha cooptato le minoranze ebraiche e valdesi (gli ebrei che portano i nomi Vittorio e Emanuele a perenne gratitudine) che ha creato nell´arsenale e nell´esercito legami solidi fra le classi sociali, che ha dato a Torino la sua impronta, la sua continuità, la sua pragmatica unione anche nella lotta di classe: i comunisti, gli antifascisti che la fabbrica salva dalla deportazione e che sono i primi a volere la ricostruzione e la espansione produttiva.
Gianni Agnelli non era uno stinco di santo e, come tutti i re si concedeva vizi, capricci, arroganze e anche le regali debolezze del modo di parlare, di vestire, di atteggiarsi. Ma nei momenti decisivi della sua vita si era comportato come si comporta un re: non si era sottratto alla regola piemontese per cui «i bei giovani vanno a fare i soldati e i macachi restano a casa», era andato soldato in Russia e in Africa. Per dire che aveva pagato di persona come gli altri. L´alta borghesia legata alla aristocrazia piemontese di cui Gianni era l´indiscusso sovrano poteva avere degli aspetti provinciali, saccenti, presuntuosi ma non era mai estranea, non era mai fuori, non perdeva mai i suoi legami con i concittadini.
Per i torinesi anche l´Agnelli cosmopolita, modaiolo, esibizionista restava comunque uno dei loro, che poteva girare il mondo ma che teneva casa a Torino, sulla collina, da cui poteva vedere tutte le stelle rosse della Fiat, e i capannoni i fumaioli delle nuove fabbriche sparse nella pianura pedemontana sotto la cerchia delle Alpi.
Anche la passione sportiva per la Juventus era qualcosa di più di un bel gioco da ricchi, era un legame con la città e con il piemontesismo, lo "stile Juventus", che per anni sopravvisse alle ondate migratorie. Più recitato che reale ma comunque il più ammirato, il più imitato nel paese.
C´è chi come Scalfari definisce Agnelli "il principe incostante", altri non hanno nascosto il loro stupore per averlo visto al raduno di industriali a Parma osannante al nuovo padrone Berlusconi che di Agnelli è l´incompatibile opposto. È stato lo stesso Agnelli a dichiararsi «per definizione governativo» come diceva suo nonno, come era d´obbligo nella Italia protezionista, ma in questo paese trasformista e plebeo ci si deve accontentare. A noi questo signore «di panna montata», come fu anche chiamato, andava bene, era uno dei pochi esempi positivi, uno dei pochi modelli imitabili nelle buone maniere, nella instancabile curiosità per quanto avveniva attorno a lui, nei rapporti con la cultura e la informazione, nel rispetto delle tradizioni, nell´amore, questo sì profondo e mai tradito per la sua terra, nella civile sopportazione dei grandi dolori e anche nel fatto che fosse esportabile, che fosse uno di cui non ci dovevamo vergognare con l´estero e neppure in casa nostra. Le poche volte in cui la sua bianca chioma e la sua bella figura sono apparse in mezzo ai politici che ci ritroviamo abbiamo avuto netta l´impressione che il paese è cambiato. Purtroppo nel peggio.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …