Luigi Manconi: Intolleranza, salsicce e vino

23 Giugno 2003
Insultare Umberto Bossi è - oltre che opportuno - facile e facilmente gratificante (anche per l'insultato, temo). Sconfiggerlo politicamente e culturalmente, questo è il vero, e arduo, problema. Bossi, infatti, è il fondo limaccioso di un sentimento di diffidenza (e, talvolta, di ostilità) nei confronti degli stranieri, tanto più forte quanto più cresce l'insicurezza collettiva. Ma Bossi, soprattutto, è "l'imprenditore politico" che vuole tradurre quell'intolleranza latente in mobilitazione pubblica e consenso elettorale. Questo deve indurci a osservare con attenzione ciò che succede nella vita sociale, laddove l'intolleranza si forma e si diffonde. Ecco, allora, due fatti da non sottovalutare. Il primo riguarda le domeniche di una folta comunità di immigrati, che si riunisce a Colle Oppio, a Roma, in un rituale festivo che molti, tra i residenti, hanno imparato a conoscere come un tratto distintivo della vita di quartiere. Ogni settimana il campetto di calcio di quella zona si anima di un "torneo tra le nazioni" (un vero e proprio campionato "del mondo"), tra diverse squadre di stranieri. A fare da pubblico sono curiosi, passanti, turisti; e, poi, i familiari e gli amici dei calciatori (alcuni, va detto, di elevato livello tecnico): un'occasione per incontrarsi e per pranzare sui prati che affacciano sul Colosseo. Tutto bene, fino a domenica 8 giugno, quando un centinaio tra carabinieri e poliziotti - con lampeggianti e sirene - ha fermato e identificare oltre 300 immigrati. Un terzo di essi è stato portato in questura e, per quaranta, sono state accertate irregolarità nelle pratiche per il soggiorno: alcuni già sarebbero stati espulsi, altri sarebbero stati trasferiti nel Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria. Sono stati commessi degli abusi da parte delle forze dell'ordine? Non lo so e mi auguro di no. Ma non è questo, stavolta, il punto centrale. Il punto centrale è che l'esito dell'operazione è stato "il sequestro di carne da arrostire, salsicce, vino". Ovvero, sono state dispiegati ingenti mezzi e uomini contro la più pacifica delle "riunioni", in una esibizione di sgraziata muscolarità, già mostrata in altre "maxi retate". Ma, in questo caso, l'effetto dell'operazione può essere assai più pernicioso: essa, infatti, rischia di compromettere quelle forme quotidiane e preziose di integrazione degli stranieri nella nostra società; quella rete di rapporti e di scambi che lentamente si realizza all'interno della vita collettiva di una comunità - quella italiana - che si scopre non più monolitica né monoculturale.
Questi processi di integrazione sono assai delicati. A incrinarli, basta poco. Per esempio una sentenza della Cassazione, quale quella che ha annullato "per carenza di motivazione" la condanna a 30 anni, inflitta in primo e secondo grado, a Cosimo Iannece. Questi, il 14 marzo 2000, aveva fatto irruzione, con una tanica di benzina, nell'abitazione del proprio dipendente Jon Cazacu, tecnico rumeno, gli aveva versato addosso il liquido e gli aveva dato fuoco, uccidendolo.
Per la corte d'Assise si era trattato di "dolo diretto": ora, la Cassazione ha giudicato non sufficientemente motivata quella sentenza e il processo va rifatto. Che relazione c'è tra i due fatti? Nessuna, proprio nessuna. Ma temiamo che gli "imprenditori politici dell'intolleranza", creino, loro, quei nessi e introducano, loro, quelle connessioni. Sarebbe grave se, in una situazione tanto delicata, questori e magistrati - magari inconsapevolmente - incentivassero la "produzione di intolleranza per via istituzionale".

Luigi Manconi

Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l’Università IULM di Milano. È parlamentare e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. Tra i suoi libri …