Riccardo Staglianò: "Per i soldati italiani a Nassirya quattro mesi in prima linea"

01 Agosto 2003
I soldati italiani staranno in prima linea in Iraq con turni di quattro mesi. E poi verranno rimpiazzati con forze fresche, per evitare i malumori che intossicano i marines americani, costretti d´improvviso a ferme di cui non vedono più la fine. A garantirlo è Giulio Fraticelli, da pochi giorni il nuovo capo di Stato maggiore dell´esercito. Il generale ha una lunga esperienza internazionale ed è l´unico italiano a essere stato, dall´87 al '90, consigliere militare del Segretario generale delle Nazioni Unite. Organizzazione di cui resta uno strenuo sostenitore: "Guai - avverte - se l´Onu si limitasse a emettere atti notarili". Drammaticamente facili da ignorare, per di più.
In Iraq muore un soldato americano al giorno e ora il Pentagono ammette che le forze stanziate non sono sufficienti. Si poteva capire prima?
"E´ un calcolo sempre difficile. Nel Kosovo c´erano 45 mila soldati per una superficie di 10 mila chilometri quadrati: se si fosse applicato lo stesso criterio, per l´estensione dell´Iraq non sarebbero bastati tutti gli eserciti del mondo. Per far funzionare un progetto di nation building, tuttavia, l´intervento militare garantisce solo il ristabilimento delle condizioni minime di pace, la prima fase. Poi fondamentale, come in Iraq adesso, è il ruolo della componente civile, degli specialisti che danno il supporto politico, tecnologico e finanziario per ricostruire un Paese".
E i soldati italiani quanto rischiano?
"Quando si arriva a usare la forza il rischio c´è sempre. Quello cui si deve puntare è di ridurlo il più possibile e ciò si ottiene motivando e addestrando i soldati. I nostri lo sono. Non solo: l´altro giorno a Nassirya un iracheno in fila per ritirare la paga è svenuto per il troppo caldo e un nostro militare l´ha soccorso, facendogli riprendere i sensi. Piccoli gesti come questi hanno un grande significato e fanno percepire bene i nostri uomini dalla popolazione locale".
Per supplire allo scarso numero, i marines dovranno sopportare una ferma molto prolungata. Per gli italiani che tempi si prevedono?
"E´ previsto che stiano sul teatro delle operazioni per 4 mesi, prima di essere avvicendati. Il che significa che servono molti uomini: per uno sul campo vanno calcolati tre, in patria, che si preparano a dare il cambio. E già adesso, con circa 8500 militari impegnati in missioni internazionali, siamo praticamente al limite delle nostre capacità. A metà settembre la task-force Nibbio rientrerà dall´Afghanistan, liberando forze sostanziose. Ma scontiamo ancora una differenza di circa 20 mila unità tra i soldati di leva che vanno a scomparire e i volontari che stanno entrando nei ranghi. Senza considerare l´impegno nell´operazione Domino, a difesa degli obiettivi sensibili italiani, che occupa circa 4 mila uomini".
La guerra all´Iraq ha segnato uno scacco per il Palazzo di vetro. Crede che possa essere davvero il "poliziotto del mondo"?
"E´ un ruolo che ha cercato di svolgere, soprattutto dopo la caduta del Muro. Ma non è sempre riuscito a farlo. Più efficacia passa anche da più rappresentatività, in un quadro internazionale molto cambiato, con 191 membri invece dei 51 originari. E i paesi che vi contribuiscono molto, anche finanziariamente - l´Italia è al sesto posto, prima dei membri permanenti Russia e Cina -, hanno diritto a essere rappresentati, a prescindere dal fatto che appartengano al Consiglio. Una strada possibile è quella d´inserire al suo interno almeno un seggio collettivo per l´Unione europea".
Questo basterebbe a dargli l´autorevolezza di cui sembra avere bisogno?
"Sarebbe un passo avanti ma resterebbe il limite della lentezza di intervento. Quella delle Nazioni unite è, ad oggi, una forza militare "alla carta", non ancora un esercito vero e proprio. E ciò ne rallenta enormemente la velocità di reazione. Quella che consentirebbe, per restare sull´attualità, di intervenire in Liberia entro 30 giorni qualora il Consiglio lo decidesse".
Nel frattempo, sotto l´egida Onu, soldati di tutto il mondo cercano di ricomporre Stati distrutti dalle guerre.
"Anche considerando i fallimenti del passato come a Srebrenica o in Ruanda, per citarne un paio, non si possono dimenticare i successi come in Slavonia, dove tutto è filato liscio senza neppure sparare un colpo. E anche dove non si può dire che l´obiettivo sia stato centrato, come in Somalia, cosa sarebbe successo se non ci fossero stati i caschi blu? Di certo la sofferenza della popolazione sarebbe stata molto maggiore. Fuori dall´Onu, in ogni caso, vince la legge del più forte".

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …