Gabriele Romagnoli: Fatwa, non solo condanne ma regole quotidiane

07 Gennaio 2004
Il Cairo - Fatma Ali aveva 49 anni quando la sua salute ebbe un tracollo e i medici giudicarono necessario un intervento: trapianto del rene. Non ne aveva mai sentito parlare e, da buona musulmana, chiese l' opinione di un' autorità religiosa. Lo sceicco Metwalli El-Sharawi emise la sua fatwa: il trapianto è "haram", peccato. Affermò: «Gli esseri umani non possiedono i loro corpi, essi appartengono a Dio. Tu, donna, se anche vedessi tuo figlio morire e donare un tuo organo potesse salvarlo, dovresti comunque astenerti e rimetterti alla volontà divina. A maggior ragione se la cosa riguarda te stessa». Eppure, il Grande Sceicco di Al Azhar, Tantawi, ha emesso una fatwa con cui legittima le banche degli organi e disposto la donazione dei propri, dopo la morte. Fatma chiese a una terza autorità religiosa come regolarsi in caso di fatwa divergenti e quella emise una fatwa prescrivendo: «Segui l' istinto». Lei decise di non accettare un organo altrui: «Se poi la persona che mi ha donato il rene si ammala all' altro e muore?». Ci sarebbe una fatwa favorevole: «Qualora i medici siano in grado di assicurare che non avverrà». Ma un' altra fatwa dice a chiare lettere che «soltanto Dio possiede le chiavi dell' ignoto» e quindi considera "haram" non solo credere alle diagnosi, ma anche leggere gli oroscopi. Esiste una fatwa che condanna i gadget allegati ai prodotti («perché danneggiano la concorrenza»), una che spiega come tenere le mani durante la preghiera e un' altra che risponde alla domanda: «Quando mia moglie ha il ciclo, posso fare ricorso a pratiche solitarie?». Il significato del termine è stato cannibalizzato dalla madre di tutte le fatwa, quella con cui si condannò a morte Rushdie, e impropriamente attribuito all' esortazione di Osama bin Laden «Uccidete gli americani dovunque». L' Occidente la percepisce come un' asserzione minacciosa. In realtà è una prescrizione per la vita quotidiana diretta alla comunità islamica, riguardante una questione particolare. A emetterla deve essere una autorità religiosa, altrimenti non ha valore (e c' è una fatwa che lo considera "haram"). L' affermazione non deve basarsi sulle opinioni personali dell' autore, ma su un riferimento alle sacre scritture e alla legge islamica. Per molti anni il monopolio della fatwa è stato nelle mani di Al Azhar, poi, nel 1985, è stato creato un apposito comitato di mufti, chiamato Dar El-Ifta, il cui capo viene nominato dal governo egiziano. Qualcuno l' ha considerato uno scisma, tutti hanno colto il tentativo di controllare quelli che per i fedeli sono imperativi di vita. In 28 anni il comitato ha emesso cinque milioni di fatwa. Quando noi occidentali scartabelliamo in quell' infinito archivio rimaniamo affascinati dall' aneddotica, passata e contemporanea. Ci colpisce il caso del califfo Omar che, nel 634, ebbe rapporti sessuali durante il Ramadan e chiese una fatwa sull' adeguata punizione. Fu costretto a 60 giorni di digiuno. Ma un altro sceicco disse che la fatwa era ingiusta, meglio sarebbe stato fargli sfamare 60 poveri, perché «Il Corano vuole migliorare la vita, non complicarla». Ci incuriosiscono i pellegrini che, avviati sulla via della Mecca, sentendosi richiedere una foto per il passaporto, si fermarono finché lo sceicco Abdel Qarat li rassicurò che mostrare organi non vitali nell' apposito riquadro non era "haram". Ci appassioniamo all' infinita disputa sulla possibilità, per una donna stuprata, di ricostruirsi una verginità artificiale («è un diritto», «no, è un inganno»). Ci stupisce la calcolata severità di sceicchi che chiedono la condanna a morte di un drogato colto sul fatto per la quarta volta (nelle prime tre bastano pubbliche frustate) e comprendiamo lo sdegno che, nel 1988, spinse lo sceicco Abdel Selem a emettere fatwa contro i quiz televisivi sulla conoscenza del Corano «perché non è stato scritto per fare spettacolo». E' , quest' ultima, un segno dei tempi e delle nuove, impensate, domande a cui si deve cercare risposta trovando riferimento in testi vecchi di secoli. «Nel mio Corano trovo ogni risposta», dice Monsieur Ibrahim, impersonato da Omar Sharif nel film che porta il suo nome. E in effetti si possono affrontare, per analogia, anche quesiti tipo: «Posso rispondere al cellulare se squilla durante la preghiera in moschea?». Di solito domande del genere vengono rivolte via Internet. Ci sono siti appositi di fatwa on line e sessioni con il mufti collegato a un computer in diretta. Il bisogno di direttive per la vita quotidiana si allarga e ha urgenza. Ma una fatwa afferma che le fatwa on line non hanno valore. Al di là dei responsi bizzarri, le fatwa possono decretare strappi sociali e svolte economiche. Una ha legittimato l' uso della carta di credito e da anni si confrontano pareri contrastanti sulla liceità degli interessi sui prestiti bancari. Che fossero "haram" è stata a lungo l' opinione dominante ed era proibito lavorare in istituti di credito che li praticassero. Poi qualcuno ha cambiato idea: il Profeta aveva comprato cammelli e li aveva rivenduti ottenendo un guadagno e quindi avrebbe dovuto essere lecito anche per le banche avere un tornaconto. Per milioni di fatwa che influiscono solo sul privato una, come questa, può cambiare l' economia di un Paese. Una decisiva fatwa che ammettesse il pellegrinaggio a Gerusalemme avrebbe evidenti conseguenze politiche. Di qui il tentativo di "controllare i controllori" e metterli sotto l' ala del potere secolare, perché diano graditi responsi. Qualche volta a provarci non è uno Stato di religione islamica. Da mesi gli Usa cercano un qualunque mufti nel mondo disposto a emettere una fatwa che legittimi l' invasione dell' Iraq. Non l' hanno ancora trovato.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …