Marco D'Eramo: La lingua cherokee. L'alfabeto perduto di Sequoyah

17 Maggio 2004
I più giganteschi alberi portano il suo nome, come pure un grande parco californiano dove questi monumenti della flora sono preservati, o una centrale nucleare in Tennessee. Ma dubito che molti in Italia sappiano perché a quest'uomo siano stati attribuiti tanti onori. Io per lo meno lo ignoravo, prima di visitare la riserva cherokee in North Carolina. Questa è dunque la storia di Sequoyah (poi corrotto in sequoya o sequoia). In lingua cherokee sequoyah significa "piede di porco", e il nome gli fu dato a causa di una malformazione al piede. Sequoyah nacque in Tennessee nel 1760 (secondo una bibliografia sul ‟Tennessee Star Journal”) o nel 1769 (secondo un articolo sul ‟Harper's New Monthly Magazine” nel 1870) o infine nel 1776 (secondo la biografia stilata dal consiglio tribale della riserva cherokee). Era figlio di una donna cherokee e di Nathaniel Gist, contrabbandiere e mercante di pellicce, tedesco od olandese a seconda delle versioni: all'epoca i mercanti si sposavano spesso con indiane non solo per soddisfare i propri desideri e per avere una donna che procurasse loro cibo e lo cucinasse, ma anche per essere "adottati" dalla tribù indiana (legalmente tra gli indiani ogni proprietà del marito apparteneva alla moglie) e rendere più facile il proprio commercio.
Il padre europeo scomparve dopo poco, non fu mai più rivisto e il bambino non lo conobbe, ma visse sempre con la madre, donna energica che decise di non risposarsi e che coltivava i campi, allevava il bestiame, mungeva le mucche: già, perché contro tutte le immagini di migliaia di film western, questi indiani erano soprattutto coltivatori e allevatori e furono spinti a diventare cacciatori dal commercio di pellicce con i mercanti bianchi. Per di più vivevano non in tende ma in case di legno o gesso.

Con la pipa in mano.
Madre e figlio vivevano nella città di Tuskegee e Sequoyah mostrò subito una particolare abilità manuale, tanto che poi divenne fabbro, argentiere e abile nel disegno. Di taglia media, magro, venne ritratto sempre con una lunga pipa in mano e descritto come riservato, un po' sognatore. La giovinezza e maturità di Sequoyah trascorsero negli anni delle guerre nordamericane tra francesi e inglesi, nella guerra d'indipendenza e infine nella guerra del 1812 tra Stati uniti e Inghilterra, in cui combatté come soldato semplice nell'esercito del generale Andrew Jackson e partecipò alla battaglia decisiva di Horseshoe Bend nel 1814.
Di ritorno dalla guerra ebbe un incidente di caccia che lo lasciò storpio per il resto della vita, dandogli ancora più tempo per pensare a quel metodo dei bianchi che non cessava di stupirlo: "le foglie che parlano", e cioè la lingua scritta che permette di comunicare a distanza. Gli indiani avevano solo pochi schematici segni per indicare morte, guerra, pace o altri eventi da inserire come segnaletica nella tradizione orale, tramandata attraverso procedure iniziatiche.
Fu negli anni tra il 1809 e 1821 che Sequoyah conseguì quella che viene enfaticamente descritta come "la più grande conquista della storia": in 11 anni elaborò un alfabeto cherokee per rendere scritta la lingua del proprio popolo. La lingua cherokee era infatti impossibile da trascrivere nell'alfabeto latino. Per esempio i Cherokee non avevano la "r" e lo stesso nome della loro nazione, Cherokee, si sarebbe dovuto trascrivere in inglese come Chalaque o Shalakke. Alcune nasali cherokee erano totalmente assenti, come anche alcuni suoni vocalici. Perciò Sequoyah si lanciò nell'impresa di fabbricare un nuovo alfabeto e vi riuscì coniando 86 caratteri che riproducono i suoni delle 79 sillabe (fonema vocale/consonante) di base e danno luogo a tutte le parole della lingua cherokee.
A guardare l'alfabeto, colpisce la somiglianza dei caratteri alle lettere latine. Tutte le biografie affermano però che Sequoyah non sapeva l'inglese né sapeva leggere, né aveva mai frequentato missioni cristiane e che la somiglianza era dovuta solo al suo aver guardato un libro di cui non capiva il contenuto. Ma quest'insistenza sembra dovuta al desiderio di enfatizzare l'originalità di Sequoyah, mentre non ci sarebbe niente di male se in due anni di guerra in un battaglione americano lui avesse imparato l'inglese e lo leggesse: il suo risultato resterebbe comunque straordinario. Sarebbe il sol caso in cui una lingua è passata dalla fase orale a quella scritta per opera di un solo individuo.
Fatto sta che, come succede a ogni innovazione, all'inizio Sequoyah non venne creduto e fu anzi deriso, ma le dimostrazioni che dette furono così probanti che il suo alfabeto fu adottato dalla nazione cherokee, anche perché era molto facile da imparare per i bambini cherokee (a differenza dell'inglese e del francese, a ogni carattere corrispondeva un solo suono che non dipendeva da come si accostavano i caratteri). Nel 1823 il Consiglio nazionale Cherokee gli conferì una medaglia coniata con caratteri inglesi e cherokee. Nel 1824 un indiano convertito, John Arch, trascrisse una parte del vangelo di San Giovanni nell'alfabeto di Sequoyah. Nel 1825 un predicatore di sangue misto assai noto, David Brown, tradusse in cherokee tutto il nuovo testamento. E nel 1827 la nazione cherokee si dette una costituzione scritta nel nuovo alfabeto. Nel 1828 fu pubblicato il primo giornale in lingua cherokee, il” Tsa'lagi Tsu lehisanun'hi,” "La fenice cherokee", diretto da Elias Boudinot, con caratteri specialmente coniati a Boston.
Nel 1828 Sequoyah fece parte di una delegazione mandata a Washington per firmare un nuovo trattato. Il suo alfabeto permise ai bianchi (la parola yankee è una deformazione del termine yenguees con cui gli indiani indicavano gli english) d'imparare il cherokee che divenne la lingua indiana più nota. Ma l'improvvisa alfabetizzazione della nazione cherokee ebbe anche contraccolpi negativi: lo stato della Georgia la sentì come una tale minaccia che subito dichiarò i cherokee "non cittadini" e cominciò a emanare mozioni che ne esigessero la rimozione. Gli stampatori bianchi della "Fenice cherokee" furono imprigionati, e fu praticamente aperta la caccia ai cherokee.
Fu così che nel 1835, promettendo 5 milioni di dollari e 50.000 kmq di terra in Oklahoma, il governo di Washington convinse un gruppetto minoritario della tribù a firmare un trattato che cedeva ai bianchi tutta la terra cherokee in Georgia, North Carolina e Tennessee e accettava la deportazione al di là del Mississippi, deportazione ordinata dal presidente Andrew Jackson e che fu eseguita a partire dal 1837. Il fatto era che il "trattato della rimozione" era il trentesimo trattato che i bianchi facevano firmare ai cherokee, ognuno più sfavorevole dei precedenti, ognuno con una promessa di terra sempre più ridotta (ricorda niente? non sembra la sceneggiatura dei negoziati israelo-palestinesi?).
Così 16.000 cherokee furono deportati per oltre 2.000 km, in gruppi di un migliaio ciascuno, in carri bestiame, scortati da 7.000 soldati e volontari agli ordini del generale Winfield Scott, per un viaggio che durava tra i quattro e i sei mesi. 4.000 circa di loro morirono per le piogge torrenziali, le gelate, la malnutrizione, tanto che la rimozione è ricordata come "il Sentiero delle lacrime". Naturalmente poi, anche la terra promessa in Oklahoma fu ridiscussa con un nuovo trattato meno favorevole.
Dopo il 1835 Sequoyah divenne leader degli 8.000 "primi insediati" che si erano stabiliti in Oklahoma prima della Rimozione. Nel 1841 la nazione cherokee gli conferì una pensione, probabilmente la prima (e per tutto l'800 unica) pensione letteraria degli Stati uniti. Nel 1843, insieme a un figlio e a pochi altri, Sequoyah si mise alla ricerca di una "tribù perduta cherokee": una leggenda diceva che un gruppo di cherokee fosse stato convinto dal governo messicano a stabilirsi in Messico e fosse stato dato loro un territorio in cambio della conversione al cattolicesimo. Ma è così profondamente americano il tema della "ricerca della tribù perduta"! I mormoni cercano la "tribù perduta d'Israele", i Musulmani neri cercano la "tribù perduta dell'Islam". E Sequoyah parti alla "ricerca della tribù perduta cherokee". Per l'età avanzata morì vicino a San Fernando de las Rosas nel Messico settentrionale. La sua tomba non fu mai trovata.

Una statua in suo onore.
Nel 1847 lo studioso austriaco Stephen Endlich conferì in suo onore il nome Sequoia ai giganteschi alberi californiani. Nel 1917 lo stato dell'Oklahoma pose una sua statua nel Campidoglio. Nel 1927 un memoriale a Sequoyah fu eretto a Calhoun, in Georgia. Nel 1936 la Oklahoma Historical Society inaugurò, a Sallisaw, un tempio Sequoyah in cui era racchiusa la casetta di legno in cui lui aveva vissuto. Negli anni `70 la Tennessee Valley ha dato il suo nome a una centrale nucleare. Le poste Usa hanno stampato un francobollo in suo onore. Un museo dedicato alla sua vita è stato aperto nel 1986 in un'isola del lago Tellico in Tennessee.
Ma nel frattempo gli insegnanti bianchi scoraggiavano con le buone o con le cattive gli scolari dall'imparare l'alfabeto cherokee e dal parlare tra di loro in cherokee - per esempio togliendo loro la minestra di bocca se li sentivano parlare nella loro lingua.
Oggi solo poche migliaia di cherokee sono ancora in grado di parlare la propria lingua e molti meno, anzi quasi nessuno, di scrivere nell'alfabeto di Sequoyah, anche se gli uffici del consiglio tribale portano le scritte in doppia lingua. Oggi i conservazionisti cercano di ravvivare lingua e alfabeto, ma si tratta di uno sforzo simile a quello della preservazione artificiale di specie in via di estinzione. Tragici e a volte patetici, tutti gli eventi della vita e dell'opera di Sequoyah s'incastrano così nella ferrea logica che ha dominato il rapporto tra invasori bianchi e indigeni del nuovo mondo. Una logica che ha portato all'annientamento anche di quegli indiani che tentavano una "terza via". Prima li si stermina, poi si emette un francobollo in loro onore.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …