Giorgio Bocca: le giravolte del cavaliere

20 Maggio 2004
Partecipiamo a una occupazione militare dell'Iraq in cui i nostri soldati uccidono e vengono uccisi, ma chi ci governa non sa ancora se si tratti di una guerra o di una pacificazione. Forse la capacità inventiva di chi ci governa, il suo dire e disdire la menzogna sistematica, sono eccessivi. Fatto sta che la notizia della morte del soldato Matteo Vanzan, ucciso da una scheggia di mortaio, è stata accolta dal capo del nostro governo in forma dialettica, ipotetica: "A Nassiriya ci sono i nostri ragazzi, sono dei militari volontari, dei professionisti, ci sono delle situazioni difficili ma siamo lì per questo". Insomma li ha mandati a morire la patria o ci sono andati loro per un ingaggio? Di questa guerra e/o pacificazione di preciso non si sa nulla. Perché la facciamo? Perché ci siamo entrati proprio il giorno in cui l'occupazione americana dell'Iraq era cosa fatta? Perché il governo voleva fare cosa grata al nuovo imperatore del mondo? Sì, ma fuori di ogni chiarezza, senza nessuna dichiarazione. Con che armi ci stiamo? A quel che se ne sa con armi che non sono adatte e sufficienti né alla guerra né alla pacificazione: armi leggere, autoblindo, reticolati ma niente carri armati, niente aviazione, e una strana base trincerata nel deserto, a 13 chilometri da Nassiriya. Agli ordini di chi? Non lo sappiamo. In linea di principio di chi nell'Iraq rivendica il comando supremo, il comando del più forte, gli americani. Ma è arrivato subito un subcomando inglese che in realtà se ne disinteressa avendolo affidato a un ufficiale di collegamento che tira a campare al fianco di una strana governatrice, spuntata dal nulla, sconosciuta ai nostri militari, nominata pare da Bremer tanto per far capire che la giurisdizione restava sua. Quali parti hanno avuto la governatrice e i nostri militari nei rapporti con la popolazione? Con quale disegno strategico? Questo è ignoto a Nassiriya come a Roma, ma è storia vecchia. In Afghanistan, tanto per esserci, abbiamo mandato un battaglione alpino che, ignaro del terreno e della guerriglia è rimasto trincerato per cinque mesi a Khost e poi è stato rispedito in patria senza che nessuno spiegasse ai concittadini che cosa c'era andato a fare. Come la squadra navale andata nell'Oceano Indiano anche lei sotto comando americano. In quale dispositivo militare siamo in Iraq? In quale linea di presidio? Siamo in una cittadina sull'Eufrate del settore sud ma in rapporti quasi inesistenti con gli altri contingenti, e senza una complementarità delle armi perché come eravamo male armati noi, lo erano spagnoli e portoghesi e non risulta che ci fossero accordi con gli americani dato che il loro intervento aereo a Nassiriya è avvenuto solo due giorni dopo l'attacco degli insorti di Al Sadr. E adesso che si aspetta? Berlusconi improvvisamente ha invocato ciò che quasi tutta l'Europa e il centrosinistra in Italia chiedeva da tempo: una svolta netta e una nuovo ruolo delle Nazioni Unite. Con questa parola d'ordine è arrivato ieri in America per incontrare prima Kofi Annan e poi Bush. Peccato che sia una conversione tardiva, improvvisata, figlia di preoccupazioni elettorali più che di una chiara politica estera: fino a pochi giorni fa il Cavaliere sembrava inconsapevole del disastro che si stava preparando e negava persino la necessità di una nuova risoluzione Onu. Di questa occupazione e/o guerra sanno pochissimo anche le nostre istituzioni, i nostri cittadini, la nostra Chiesa cattolica e il suo cardinal Ruini. Un dramma dell'umanità in un'ignoranza generale. I nostri comandi militari non hanno pubblicato bollettini, e come potevano se non erano in guerra ma in pacificazione? E poi non sarebbe toccato informare per conto di tutti al comando della coalizione? Ma forse toccava al governatore Bremer perché anche gli americani avevano chiuso la guerra, come annunciato da Bush e iniziato l'occupazione. Il nostro Parlamento era informato? Non più dei comuni utenti dei giornali e delle radio e televisioni. Avrebbe potuto mandare a Bagdad e a Nassiriya una sua delegazione per avere notizie di prima mano, così aveva fatto il Congresso americano nel Vietnam, ma nessuno si è mosso, forse nessuno voleva muoversi. E siccome da più parti si grida che bisogna restare per evitare la guerra civile, sarebbe il caso di ricordare che la guerra civile c'è in Iraq da quando è diventato uno Stato e che solo la ferocia di Saddam è riuscita a soffocarla. Ma si deve ancora processarlo prima di trovargli un successore. Con l'Afghanistan in mano ai signori della guerra e quell'elegantissimo Karzai che non può uscire dal palazzo presidenziale e l'Iraq in preda alla guerriglia forse sarebbe il caso di accogliere le proposte anche americane "di andar via se non ci vogliono". Ed è probabile che, come nel Vietnam, accada.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …