Riccardo Staglianò: Iraq. Gli interrogatori

18 Giugno 2004
Nella scienza dell'interrogatorio le trovate orrorifiche di Abu Ghraib erano già quasi tutte previste. Il "Manuale Kubark", la bibbia della Cia sull'argomento datata 1963, alla "privazione sensoriale" dedicava capitoli interi. Desecretato nel '97 e poi largamente travasato nel "Manuale Honduras" dell' 83, il testo citava uno studio del '54 dell'Istituto nazionale di igiene mentale in cui volontari venivano messi a galleggiare in acqua, bendati e con nessun rumore intorno: nessuno resse più di 3 ore. Dei principianti assoluti rispetto alla resistenza al calvario dei prigionieri iracheni. L'uso della violenza per ottenere informazioni è vecchio come il mondo. "Tortura" deriva dal latino "torquere", torcere: "Tormento corporale di varia specie che si infliggeva un tempo legalmente, e che talvolta illegalmente s'infligge ancor oggi, a un imputato o a un testimone, per ottenere la confessione di un delitto o qualche dichiarazione importante" recita lo Zingarelli. Più difficile è tracciarne il confine con le "tecniche di interrogatorio coercitive". Vi rientra, avrebbe detto il Pentagono, la denudazione dei prigionieri, l'esporli al caldo e freddo estremi, a rumori assordanti. Restano fuori - avrebbero dovuto, almeno - tutte le umiliazioni sessuali, grande novità del repertorio iracheno. Durante la guerra del Vietnam Bill Cowan era capitano dei marine. E quando catturò un vietcong che rifiutava di fornire informazioni in grado di evitare imboscate alle truppe Usa gli attaccò dei cavi elettrici allo scroto e poi dette una scossa da 110 volt: "Funzionò che era una meraviglia" ha raccontato all'‟Atlantic Monthly”. La ‟Convenzione di Ginevra” proibisce, oltre a ogni "tortura fisica o mentale" dei prigionieri di guerra, "qualsiasi altra forma di coercizione". La ‟Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo” esclude ogni "trattamento degradante" e la ‟Convenzione contro la tortura” qualsiasi forma di interrogatorio aggressivo. La tentazione di sospendere, in particolari momenti storici, queste norme è però sempre alta. "C'è un prima e un dopo l'11 settembre - aveva spiegato al Congresso il coordinatore antiterrorismo del Dipartimento di stato Cofer Black -, e dopo l'11 settembre ci siamo tolti i guantoni". Nell'87, in Israele, la "commissione Landau" aveva invece autorizzato l'uso della "pressione fisica moderata" e di quella "psicologica non violenta" negli interrogatori quando c'era il pericolo di attentati imminenti. La pratica divenne così comune che nel '99 la Corte suprema la revocò. Michael Koubi, l'ex capo della squadra interrogatori dello Shabak, i servizi segreti generali, era considerato il "torchiatore" più abile del mondo. I principali ingredienti di un buon terzo grado, per lui, sono la preparazione (ammorbidire il prigioniero con condizioni ambientali sfavorevoli), l'investigazione (che porta a conoscere particolari segreti della sua vita) e la messa in scena (deve avvenire in un posto spoglio, che non offre distrazioni, con luci dirette in faccia). I professionisti del ramo sanno che la gente ha il terrore dell'ignoto. L'incappucciamento serve proprio a "scollegare" il prigioniero dal resto del mondo: nel buio, qualsiasi cosa può succedere. E la paura cresce. "La minaccia della coercizione generalmente indebolisce o annienta la resistenza più efficacemente della coercizione stessa" prescrive il Kubark. Non c'è bisogno della violenza, insomma, il più delle volte basta prometterla. Un paragrafo del testo sacro che gli aguzzini di Abu Ghraib sembrano non aver bene studiato. E agli antipodi del metodo di Jerry Giorgio, il leggendario interrogatore del New York Police Department, che amava ripetere: "Bisogna mettere la gente a proprio agio. Più a loro agio sono, più parlano. E più parlano, più si mettono nei guai".

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …