Giulietto Chiesa: Il gioco dei burattinai occulti nella campagna dinamitarda

02 Settembre 2004
Non è soltanto terrorismo ceceno. La impressionante successione di colpi che i ribelli stanno portando contro la Russia, lascia ormai intravvedere un obiettivo politico che va oltre il problema ceceno e oltre i confini di quel martoriato paese. L'obiettivo è Vladimir Putin in persona e il suo destino politico. Il Presidente russo ha ormai molti nemici non dichiarati, che abitano non a Groznij o a Gudermes, ma anche a Mosca. Putin è padrone della Russia. Putin ha un vasto consenso popolare, forse non così grande come dicono i sondaggi, ma certo grande. Putin domina l'apparato dello Stato, la polizia politica, tutti i ministeri della forza. Putin controlla i due rami del Parlamento. Sia il Consiglio della Federazione, la Camera alta, sia la Duma, sono nelle sue mani pressoché interamente. Le loro decisioni fotocopiano semplicemente quelle dell'Amministrazione presidenziale. Non ci sono partiti politici in grado di esercitare la benché minima funzione di opposizione. In Cecenia i presidenti eletti con l'appoggio del Cremlino saltano in aria, uno dietro l'altro, ma Putin ne mette altri dei suoi al posto degli uccisi. L'unico che ha tentato di rompere questo stato di cose, il banchiere e miliardario Khodorkovskij, è in galera da un anno e non ne uscirà. Voleva organizzare un'alternativa per le prossime presidenziali e imprudentemente lo dichiarò. Si muoveva con l'appoggio esterno della ‟Exxon-Mobil”, che stava comprandosi a gran velocità il gigante petrolifero ‟Jukos”. È stato stoppato senza mezze misure. "L'interesse della Russia si decide in Russia", esclamò Putin. Fine della storia. Chi doveva capire venne avvisato, anche se stava seduto nei pressi di Wall Street. Chi stava a Mosca, nelle dacie lussuosissime nascoste nel verde dei dintorni, sentì il fiato caldo di un potere forte e antico che credeva di avere disarmato per sempre comprandosi Boris Eltsin. E Putin, nonostante le pacche sulle spalle dei suoi amici occidentali, sta diventando sempre di più l'epifania di un potere nazionale russo, che non piace nemmeno a Washington. Ma la Cecenia è sempre stata piena di sorprese. E non è una novità. Il primo a inaugurare l'"uso politico della Cecenia" fu il banchiere e miliardario Boris Berezovskij. Fu lui a finanziare e ispirare Shamil Bassaev perché attaccasse il Daghestan nel 1999. Così cominciò la seconda guerra cecena. E Vladimir Putin andò al potere. Gli oligarchi, o alcuni di loro, quella guerra la organizzarono per lui. Adesso molte cose lasciano pensare che sia in corso una specie di legge del contrappasso: chi di Cecenia ferisce, di Cecenia potrebbe perire. Berezovskij è in esilio a Londra, ma è vivo, vivissimo. I suoi legami di allora non sono mai stati tagliati. E a Mosca sono sicuramente non pochi coloro che - se Vladimir Putin continua la sua marcia - temono di fare la fine di esiliato di lusso. O quella, di gran lunga peggiore dell'imputato Mikhail Khodorkovskij. E che, quindi, vedrebbero di buon occhio o una caduta di Putin o almeno un suo drastico ridimensionamento. Da qui a ipotizzare che sia in atto un gioco tremendamente pericoloso per Putin, in cui i ceceni lavorano per se stessi, ma anche per qualcun altro; e questo "qualcun altro", a sua volta, usa i ceceni per fare il proprio gioco, il passo è breve. Gioco al massacro, naturalmente. Ma chi potrebbe stupirsene? Quando la democrazia è annullata e zittita, con la forza e con l'inganno, quando la giustizia è dei più forti, quando gli affari pubblici sono criminali, cosa ci si può aspettare di buono?
Così, alla lunga, Vladimir Putin potrebbe essere logorato. Vincerlo non è possibile, al momento. Basta che si riesca a dimostrare che nemmeno lui può vincere. Forse è questo che sperano Shamil Bassaev e i suoi protettori, neanche troppo oscuri, che lasciano muovere i kamikaze per le strade di Mosca, che li lasciano occupare un teatro colmo di persone, che li lasciano salire su aerei civili carichi di innocenti, che non li fermano quando entrano carichi di esplosivo nella metropolitana.
Contro un nemico così bene aiutato, che agisce in casa sua, Vladimir Putin non può vincere. E un presidente che non può vincere, alla lunga finisce per perdere.

Giulietto Chiesa

Giulietto Chiesa (1940) è giornalista e politico. Corrispondente per “La Stampa” da Mosca per molti anni, ha sempre unito nei suoi reportage una forte tensione civile e un rigoroso scrupolo …