Irene Bignardi: Susan Sontag, collezionista di utopie.

29 Dicembre 2004
A scrivere romanzi, raccontava al suo modo entusiasta e seduttivo colei che era stata definita "la donna (probabilmente) più intelligente della cultura americana", a creare uno spazio e uno iato fra i suoi saggi e i suoi interventi culturali, tra le polemiche e le conferenze, tra i film e le pièce teatrali, lei, Susan Sontag, non era "arrivata", ci era tornata. Scriveva storie - così raccontava - da quando aveva sette anni. Poi era diventata Susan Sontag. Poi aveva cominciato un paio di romanzi, fermandosi scontenta a pagina cento. Ma un bel giorno si era scoperta stanca di quella che chiamava, autocriticamente, l´assertività della sua saggistica, che era l´assertività che ci si aspettava dai suoi libri, dall´esposizione diretta delle idee.
"Quella di scrivere saggi non è mai stata una decisione", mi disse durante una lunga e agitata intervista in cui doveva parlare del suo secondo romanzo, In America. Amava le straordinarie possibilità che offriva la scrittura narrativa, di vivere ogni tipo di vita attraverso la scrittura. "E ci sono tornata come se avessi fatto una lunga deviazione, per ritrovare alla fine la mia vera voce".
Eppure i suoi lettori non potevano non porsi questa domanda. Perché i romanzi di Susan Sontag - il primo, nel 1993, L´amante del vulcano, il secondo, nel 2000, In America - erano esattamente il contrario di quello che ci si poteva aspettare da lei. Un contrario, intendiamoci bene, di qualità. Ma due romanzi classici, "romanzeschi", tradizionali, estremamente godibili e leggibili. Eppure lontanissimi dai modi, dalle mode, dagli stili, dai movimenti che Susan Sontag aveva costeggiato e sostenuto in tutta la sua vita di saggista. Romanzi nati e nutriti dal puro piacere della narrazione, in cui lo stile - impeccabile - si metteva al servizio di una storia romanzesca: quella dell´amore di Lord e Lady Hamilton sullo sfondo di una tumultuosa Napoli settecentesca in L´amante del vulcano; quella di Maryna, un´attrice polacca che va alla conquista dell´America con l´arma dell´utopia, fondando una comunità ideale ad Anaheim in California - e pagandone tutti i prezzi - in In America.
Sollecitata a raccontare perché avesse scritto In America, la spiegazione di Susan Sontag era pittoresca e molto personale. Aveva scoperto, diceva, i piaceri del melodramma, perché quando andava all´opera aveva voglia di salire lei stessa in scena a cantare, a incarnare le passioni di quelle storie. E la storia di Maryna Modjeska, del suo tentativo di creare una società utopistica all´interno della società americana, e, fallito l´esperimento, del suo ritorno alle scene, rappresentava per lei il punto di saldatura con il piacere della narrazione pura, "un modo per comunicare emozioni forti, per dire le cose che non avevo più voglia di dire in forma di saggio".
In realtà il percorso di Maryna avrebbe potuto esser visto - ma Susan negava - anche come il suo percorso, divisa tra ambizioni grandissime e la voglia di comunicare a livello popolare. Così come - l´osservava Pietro Citati in una recensione di L´amante del vulcano - Susan Sontag assomigliava in fondo a Sir William Hamilton, il marito della bella e vivace Emma, l´ambasciatore britannico a Napoli, il collezionista raffinato che ama il vulcano sotto cui sta il suo palazzo. Gli assomigliava per la sua qualità di collezionista di idee, capace di immettere in un romanzo - che è per dimensioni un romanzone, come i grandi romanzi dell´Ottocento - la cultura e la sapienza, la storia e le storie raccolte in una vita di ricerche intellettuali.

Irene Bignardi

Irene Bignardi (1943) ha lavorato per il servizio cultura de “la Repubblica” fin dalla sua fondazione, e per lo stesso quotidiano è stata critica cinematografica; ha diretto il MystFest, ha …