Paolo Nori: Ultimi giorni di lavoro su Ente Nazionale della Cinematografia Popolare

26 Aprile 2005
In questi giorni in cui rivedo le bozze di Ente Nazionale della Cinematografia Popolare, per un altro motivo mi son messo a leggere Conversazione in Sicilia, di Elio Vittorini, che non avevo mai letto.

Mi è venuto subito in mente Zavattini e un dialogo da I bambini ci guardano, di De Sica, dialogo che forse non ha scritto Zavattini ma sembra scritto da Zavattini.

Con un bambino che va a giocare col monopattino ai giardini pubblici e diventa per un attimo il capo di tutti i bambini e tutti gli chiedono di fare un giro, o almeno di appoggiare il piede, e alla fine uno gli chiede Domani ritorni? No, risponde lui, domani vado in Cina.

La stessa cosa la trovo in quel Non c’è formaggio come il nostro, frase semplicissima e efficacissima, mi sembra, come tutto l’inizio della Conversazione in Sicilia, tutto nervi, senza un filo di grasso.

Conversazione in Sicilia mi son messo a leggerlo perché l’ho trovato citato nel primo volume di Fascismo e antifascismo, una raccolta di lezioni e testimonianze tenute al teatro lirico di Milano nel 1961 e pubblicate in due volumi l’anno successivo.

Nel primo volume di Fascismo e antifascismo oltre a Vittorini ho trovato citato Pirandello, una lettera che Pirandello mandava agli organizzatori del Convegno per la cultura fascista che si teneva a Bologna nel 1925, lettera con la quale Pirandello, aderendo al convegno, si scusava di non poter partecipare.

Se Voi mi riconoscete che nella cultura fascista, scriveva, voglio dire nella cultura italiana contemporanea, la mia attività di spirito tiene già da trent’anni un suo posto di combattimento, mi riconoscerete anche certamente il diritto di presumere che la espressione della mia piena solidarietà non Vi paia retorica. Ho sempre combattuto le parole, scriveva Pirandello.

A ma piace così tanto, questo fatto di uno scrittore che combatte le parole, come un musicista che combatte la musica, o un pittore che combatte i colori, o un fotografo che combatte la luce, mi piace così tanto che lo trovo fin commovente.

Ma che cosa c’entra Ente Nazionale della Cinematografia Popolare?

Ente Nazionale della Cinematografia Popolare è un libro, mi sembra, che come frase va in quella direzione di asciuttezza di austerità, e come struttura è fatto poi quasi tutto come l’inizio di questo pezzo che dovrebbe spiegarlo: è fatto di citazioni, di dialoghi, di pezzi di guide turistiche, di cartoline, di stanze d’albergo, di teologie di paese, di lingue di paese, di cosmografie personali, di inglese da giapponesi, di cartelloni pubblicitari, di furti, di recriminazioni, di leggende, di tutto, e è tenuto insieme con lo spago di un posto che si chiama Sfondo dove vivono solo dei ferrovieri.

All’inizio il libro si chiamava proprio così, Sfondo, poi il titolo mi sembrava che non rendesse l’ho cambiato in Quattro tentativi per diventar niente, che poi però mi è sembrato troppo esplicito l’ho cambiato in Sottile, poi inspiegabilmente un pomeriggio ho avuto un’improvvisa passione per Malincuore, poi quella stessa sera il romanzo è tornato di nuovo a chiamarsi Sottile, poi subito dopo per qualche minuto è stato Gentile, poi per un attimo, ma così, per far l’asino, è stato Incantevole, poi quando ha cominciato a allargarsi è diventato Vita sbandata nel mondo del cinema di un fuoriuscito della cricca emiliana, poi si è ristretto ancora è tornato a chiamarsi come si chiamava all’inizio poi a un certo momento mi è venuta in mente una cosa che diceva mio babbo.

Le viti, diceva mio babbo, a starle a sentire, delle volte ti parlano, anche se ti dicono sempre la stessa frase: Fammi povera, e ti farò ricco.

Mi è tornata in mente per via che questo libro, intanto che lo scrivevo e lo riscrivevo, avevo avuto più volte la tentazione di infilarci dentro dei pezzi che avevo già scritto, che avevo anche letto in pubblico e che sembrava che funzionassero, solo che era come se il romanzo li rifiutava, come se a starlo a sentire dicesse quella cosa che dicevan le viti Fammi povero, diceva il romanzo, e ti farò ricco.

Allora si è chiamato poi Fammi povero, e sembrava finita.

Solo che poi, è saltato fuori che il libro forse alla fine era un libro di fantascienza, e che il centro di questo romanzo era forse nel fatto che i romanzi non eran romanzi, erano film, e che i romanzieri non eran scrittori, eran registi.

Che era una cosa che un po’ esasperava una tendenza che mi sembrava di avere notato che vuole che la massima riuscita, per un libro, sia diventare un film. O, ancora meglio, uno sceneggiato televisivo.

È talmente forte, ho pensato a un certo momento, questa vocazione cinematografica e televisiva, che molti libri alla fine ormai hanno anche i titoli di coda.

Io a un certo punto mi è capitato in mano un libro coi titoli di coda, ho pensato che era come se andavo al cinema e alla fine c’era l’indice.

È come se i libri da soli fossero ancora una forma intermedia, ho pensato, come se aspirassero tutti a andare a finire nel serbatoio della cinematografia nazionale che quella lì sì, invece, che conta, il destino del cinema italiano, o dello sceneggiato televisivo, italiano.

Allora lì il libro ha preso il suo titolo definitivo, e adesso tra qualche giorno vediam cosa dice.

P. N.

Bologna, 2 aprile 2005

Ente Nazionale della Cinematografia popolare di Paolo Nori

Regista spaesato e improbabile, spedito in terre lontane a caccia di suoni, odori e immagini da un fantomatico Ente Nazionale della Cinematografia Popolare, Paolo Nori ci fa scorrere dinanzi agli occhi le vite non illustri, i dettagli minori, gli sfondi non abusati che soli sanno ricreare il fascin…