Marco D'Eramo: Elezioni inglesi. Il terzo vicolo

09 Maggio 2005
La terza via è diventata un vicolo. Nel 1997, quando Tony Blair trionfò con 170 seggi di maggioranza, apparve come una scorrevole autostrada su cui procedevano appaiati un nuovo compromesso storico col gran capitale e insieme l'utopia di un settore pubblico postfordista, personalizzato e flessibile. Nel 2001 sembrava ancora un viale agiato, con 166 seggi di maggioranza e grandi progetti di riforme (o controriforme) dello stato sociale, investimenti nella scuola e nella sanità fondati su un'improbabile joint venture tra pubblico e privato. Ora con il voto di giovedì, e la maggioranza del Labour ridotta a una sessantina di seggi, gli inglesi hanno espresso un verdetto misurato ma preciso. Hanno detto che non volevano essere governati da una formazione ormai orientata su una piattaforma razzista come il partito conservatore di Michael Howard, e hanno quindi votato per la stabilità, per mantenere una linea economica che finora (ma non si sa per quanto ancora) ha salvato la Gran Bretagna dalla disoccupazione, dall'impoverimento, dalle recessioni che hanno nel frattempo colpito gli altri grandi paesi europei, in particolare l'Italia: è così che il Labour ha ottenuto il risultato storico di essere riconfermato al governo per la terza volta di seguito (non era mai avvenuto in tutta la sua storia).
Ma se il Labour ha vinto, Blair ha perso. E a decretare il suo definitivo declino politico è stato l'Iraq. Su cui l'elettorato britannico ha manifestato tutto il suo rigetto dell'arroganza di questo governo.
Al pari di molto centro-sinistra italiano (vedi l'intervista di ieri di Massimo D'Alema a Repubblica), Blair ha sottovalutato il peso che una guerra ingiusta, di aggressione immotivata, ha per l'opinione pubblica. Credeva che interessasse solo un sottile strato di intellettuali radical-chic e una manica di pacifisti. In quanto prodotto di una delle più esclusive scuole private (che qui, umorismo inglese, si chiamano public schools), Tony Blair ha sempre sentito un'incolmabile distanza tra i bramini come lui e la massa dei paria (anche quelli iscritti al suo partito), nutre cioè un freddo disprezzo per la plebe. Tutto il suo comportamento politico esprime da sempre la convinzione che il volgo possa essere manipolato e spinto anche contro se stesso. Il suo straordinario successo lo ha sempre più radicato in questa certezza, fino all'invasione dell'Iraq.
Come altri politici d'italiana memoria che si ritengono straordinariamente astuti, Blair riteneva che il bifolco elettore non avrebbe saputo apprezzare le profonde ragioni geopolitiche che lo spingevano a sdraiarsi a stuoino sulla linea Bush. Gli sembrava normalissimo manipolare la sua pubblica opinione con la stravagante storia che Saddam Hussein era in grado di colpire in 45 minuti le basi inglesi a Cipro. Quando la Bbc ha osato contraddirlo, ha praticato una ritorsione vendicativa fino a farne dimettere il direttore generale. Giovedì sera la Bbc dichiarava: «Benvenuto, mister Blair nel mondo reale».
Blair voleva restare nella storia inglese come l'uomo che aveva delineato un'altra Gran Bretagna, un nuovo contratto sociale (new deal); ma con una maggioranza così risicata, i suoi mirabolanti progetti legislativi sono ormai tarpati sul nascere e, soprattutto, deve dipendere dai peones del suo partito che tanto disprezza. Nella «coalizione delle volontà» così cara a Bush, egli è così un'altra vittima del fuoco amico: non è stato freddato sul posto come José Maria Aznar, ma certo l'Iraq gli costa almeno tre anni di governo (sarà costretto a dimettersi entro l'anno prossimo).

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …