Tullio Kezich: A Venezia tante ingiustizie. E il divo Usa meritava il Leone

12 Settembre 2005
Dei festival si può dire ciò che si diceva dei commediografi italiani quando le commedie erano in tre atti: sanno scrivere il primo e il secondo, non il terzo. Partono bene, ma non ce la fanno a concludere. Il terzo atto di ogni rassegna è il momento in cui i giurati tirano fuori il titolo da iscrivere nella futura storia del cinema. Al Lido qualche volta ci sono riusciti, come accadde 50 anni fa, assegnando il massimo premio a Ordet. Stavolta non c'era a disposizione nessun Dreyer, ma c'era per fortuna un'abbondanza di buoni film: il che però complica le discussioni e aumenta il numero dei sacrificati. Vogliamo cominciare da quelli? Manoel de Oliveira (97 anni) con Specchio magico ha firmato uno dei suoi titoli più personali; Kryztof Zanussi con Persona non grata è rientrato nel gruppo di punta dei cineasti europei; il brasiliano Fernando Meirelles con Il giardiniere tenace ha coraggiosamente svelato gli orrendi retroscena del neocolonialismo africano; Terry Gilliam ha fatto una meravigliosa incursione nel mondo favolistico dei fratelli Grimm; Pupi Avati ha tirato fuori una nuova grinta di narratore con La seconda notte di nozze (e come si è potuto trascurare Antonio Albanese, il più incantevole fra gli attori del Lido?) È vero che de gustibus non si discute, ma almeno qualcuno dei suddetti poteva venire inserito nelle nove caselle del generoso palmarès, magari rinunciando a premiare due volte lo stesso film. Non che sia un errore segnalare sia la sceneggiatura (George Clooney e Grant Heslov) che il protagonista (David Strathairn) di Goodnight, and Good Luck. A questo film andava in realtà attribuito il Leone d'oro per la forza dirompente del messaggio e la straordinaria qualità della realizzazione. Evidentemente le divergenze fra i giudicanti hanno portato le scelte sul terreno del compromesso, laureando (senza scandalo, per carità) il degnissimo Brokeback Mountain di Ang Lee.
Tuttavia ci sono film che segnano una data, come quello di Clooney, e altri che sono semplicemente buoni film; e il fatto comprovato è che un festival resta nella memoria solo se ha azzeccato il Leone d'oro. Per cui la premiazione, condivisibile per ciò che riguarda Ferrara e Garrel, meno convincente per il premio Mastroianni a Ménothy Cesar di Verso il sud, ha eternato l'evento del Lido come una fotografia sfocata.
Per non parlare dello spettacolo, al solito sgangherato: presentatori imbarazzati, cameramen distratti, premiati che non sapevano se uscire a destra o a sinistra e spettatori avari di applausi anche quando sono apparse Isabelle Huppert e Stefania Sandrelli.
Una platea che non somigliava certo a quella dell'Oscar, dove impera la gente dello spettacolo e non ci sono politici e portaborse.
Il cinema italiano si è conquistato solo la meritatissima Coppa Volpi per Giovanna Mezzogiorno, protagonista del bel film di Cristina Comencini La bestia nel cuore che secondo alcuni esperti potrebbe vincere un consistente premio in denaro ai botteghini italiani.
La Mezzogiorno è la conferma che esiste da noi una generazione di attori eccellenti (e rendiamo omaggio al valore sfortunato di Margherita Buy e Luca Zingaretti andando a vedere anche I giorni dell'abbandono) scalpitanti nell'attesa di un cinema che li valorizzi. Per concludere ci sia consentito ricordare, con una punta di orgoglio corrieristico, che Giovanna non è solo figlia d'arte (del compianto Vittorio Mezzogiorno e dell'attrice Cecilia Sacchi), ma anche nipote del grande Filippo Sacchi fondatore negli anni '30 della critica cinematografica su questo giornale.

Tullio Kezich

Tullio Kezich (1928-2009), autore di numerosi volumi e commediografo largamente rappresentato, è stato critico cinematografico al “Corriere della Sera”. Con Feltrinelli ha pubblicato la biografia di Fellini, Federico, nel 2002 …