Giorgio Bocca: Quando sulla guerra scende il buio

02 Aprile 2007
"Sono le cinque di sera", dicevano quelli dei telegiornali. "Ormai in Afghanistan è buio. Ci risentiamo domani mattina". Con il sequestro di Daniele Mastrogiacomo e le cronache della sua prigionia abbiamo riscoperto il buio. L'ubago, come si dice in occitano: la notte stellata che ferma il travaglio degli uomini e anche le loro guerre. Scende il buio, i talebani e i loro prigionieri si chiudono nelle casupole di pietra, le truppe superarmate dell'alleanza Nato nei loro quartieri blindati e la guerra va indietro di migliaia di anni, resta solo l'antico odio del branco, della tribù.
Ritorna il buio come tregua alle umane contese: i contadini pashtun costretti a prendere le armi dagli invasori che dicono di essere venuti per salvare quella cosa ignota da queste parti che è la democrazia. Tutti che devono recitare le nuove parti, il raccoglitore di papaveri Hussein diventato capo partigiano, il taxista afgano giustiziato come spia degli inglesi solo perché fa il suo mestiere, questa umanità travestita, rimescolata, affidata al caso, che gioca una partita di vita e di morte in un desolato angolo dell'Asia dove arrivò migliaia di anni fa un mitomane macedone di nome Alessandro.
Sono le cinque della sera e a Kabul c'è un afgano ambizioso e avventuroso di nome Hamid Karzai che si gioca la vita per essere il presidente di un paese ingovernabile. Lo hanno eletto presidente, lo chiamano presidente, ci sono soldati che presentano le armi, picchetti d'onore quando arriva in un paese straniero ed è un altro gioco a cui partecipano capi di Stato, ambasciatori e giornalisti: il gioco del presidente fantasma, che c'è e non c'è, che non conta niente ma appare su tutti i giornali, su tutti gli schermi televisivi indossando abiti meravigliosi, disegnati per un musical hollywoodiano.
Così l'idea che hanno di lui milioni e milioni di spettatori occidentali è che sia un Quisling da operetta, uno che si gioca la vita pur di recitare la parte del presidente afgano, 'l'astuto afgano', come dicevano gli inglesi della regina Vittoria. E invece è un uomo di coraggio e di avventura, ha combattuto contro gli occupanti russi, si è convinto di poter governare la 'grande assemblea' in cui si riuniscono tutti i signorotti ladroni del paese, quelli che sono per l'islamismo radicale e quelli che preferiscono la dittatura degli ayatollah iraniani. Insomma, tutta l'umanità che fino a ieri ci era sconosciuta e che sconosciuta rimane anche se abbiamo letto libri e opuscoli stampati per l'occasione da editori che vanno, come si usa dire, 'nel senso della storia'.
Poi in questa complicata storia ci sono anche gli anglosassoni combattenti, americani e inglesi che in realtà sono in gran parte mercenari salvo il principe Windsor arrivato qui grazie a un singolare patto imposto dai suoi augusti genitori: evitare nel modo più assoluto il rischio delle pallottole anche di quelle vaganti.
E mentre in Afghanistan talebani e occidentali si fronteggiano in lande desolate, in Iraq ufficiali e giornalisti americani sono occupati a scrivere saggi e resoconti da cui risulta che il più forte e armato esercito del mondo, quello comandato da generali scienziati e da colonnelli filosofi, non ne ha indovinato una che è una, ha commesso sin dalla prima ora errori capitali, ha congedato l'esercito iracheno di cui aveva un bisogno estremo per combattere la ribellione, ha applicato modelli coloniali che gli alienavano anche le simpatie dei moderati, ha bombardato le città facendo strage di innocenti.
Centinaia di alti ufficiali americani hanno seguito lo stesso desolante percorso: denunciare l'ignoranza e la stupidità degli alti comandi in modo da essere rispediti a casa dai medesimi per guidare in patria una protesta civile destinata alla sconfitta.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …