Marco D'Eramo: Tutti pazzi per Sarkozy

30 Agosto 2007
Tutti pazzi per Sarkozy (Nicolas, non Cécilia). Per un paio di mesi è sembrato in Italia che il nuovo presidente francese fosse per la destra quello che per la sinistra è stato il premier spagnolo José Zapatero: e cioè l'esempio di come si mantengono le promesse elettorali e di come si possono operare riforme di fondo. Ma mentre sulla base e sugli elettori dell'Ulivo Zapatero ha ancora una presa fortissima (le sue scelte laiche, la legislazione sui Pacs...), alla classe politica e agli spin doctors del neonato Partito democratico il solo nominare il premier di Madrid fa venire l'orticaria (‟Mica siamo in Spagna qui!”). Invece sembrano essersi presi tutti una cotta per ‟Sarkò”: in italiano questo tipo d'innamoramenti si chiama ‟sbandata” che qui va intesa in senso letterale e politico.
Ormai si sprecano le lodi sperticate al dinamico inquilino dell'Eliseo. I buonisti hanno cominciato a sgiuggiolare con la scelta di ministre di origine immigrata: Rachida Dati alla giustizia, Fadela Amara alle politiche urbane, Rama Yade ai diritti umani. Poi sono tutti caduti in ammirazione per le nomine bipartisan, a cominciare da quattro (ex) socialisti: Eric Besson (transfuga dal Ps) è sottosegretario; il cofondatore di Médecins Sans Frontières, Bernard Kouchner, è ministro degli esteri; l'ex ministro della cultura (il ‟Nicolini francese”) Jack Lang fa parte della Commissione per le riforme istituzionali (presieduta dell'ex premier Edouard Balladur e in cui siede anche un altro ex deputato socialista, Olivier Duhamel); infine l'ex consigliere economico di François Mitterrand, ed ex enfant prodige dell'economia francese, Jacques Attali, presiede la commissione per le riforme economiche di cui fanno parte anche la ex ministra conservatrice spagnola Ana Palacio e due italiani, l'ex ministro del centrosinistra Franco Bassanini, e l'ex commissario europeo Mario Monti.
Ma perché sarebbe ammirevole tutto ciò? Forse che con tre ministre di origine maghrebina, Sarkozy è meno odiato nelle banlieues degradate di Francia? E poi, forse in Italia tutto sarebbe risolto se un Silvio Berlusconi tornato al potere facesse entrare nel suo gabinetto Michele Salvati, Renato Nicolini e Gino Strada? Romano Prodi dovrebbe aprire la sua compagine a Giulio Tremonti, Vittorio Sgarbi e don Pierino Gelmini? Vivremmo forse in quell'Eden politico che ci viene prospettato come ‟post-ideologico”, ‟né di destra né di sinistra”?
Sono decenni che i conservatori di tutto il mondo ci assordano con ‟la morte delle ideologie”. Ma George W. Bush ha conquistato due vittorie che più ideologiche di così non si può: in queste due vittorie i conservatori repubblicani hanno raccolto il frutto di una guerra ideologica all'ultimo sangue che hanno combattuto per trentacinque anni con enorme dispendio di mezzi e di intelligenze.
Nel nostro piccolo, l'offensiva ideologica la subiamo tutti i giorni quando la sigla Usl viene tramutata in Asl, dove l'‟unità” deve far spazio all'‟azienda” (e allo ‟spirito d'impresa”) e in ospedale non siamo più pazienti, ma ‟clienti”, in treno non siamo più passeggeri, ma ‟clienti”, anche all'università i nostri figli non sono più studenti ma sono diventati ‟clienti”, unica categoria antropologica ammissibile per lo sfrenato liberismo che è assurto a vera ideologia totalitaria, anzi a religione trionfante di questi anni.
Perché al libero mercato ci si crede, è una fede. Per cui, quando ci parlano di post-ideologico, vogliono solo dirci che l'unica ideologia consentita è il perbenismo liberista che, come unico correttivo agli sfaceli prodotti dal libero mercato, porge solo carità, filantropia, Ong, e ‟conservatorismo compassionevole” (Bush). E ‟morte delle ideologie” è solo il loro modo di dirci che la nostra ideologia è morta e che la loro trionfa: la caratteristica di ogni ideologia è di non riconoscersi come tale, proprio come ogni religione considera idolatre tutte le altre religioni e mai se stessa.
Viene il sospetto che, invocando Sarkozy a nume tutelare, le nuove teste d'uovo del Partito democratico vogliano attuare la ‟strategia Cacciari”: come il filosofo-sindaco ha sostenuto per anni che l'unico modo per battere la Lega era essere più leghisti di Bossi, così ora la nuova trovata geniale del Pd è che per battere la destra bisogna essere più di destra di Berlusconi.
O almeno, sempre e comunque, bipartisan. Infatti, da noi, ci si deve genuflettere non solo al dio mercato ma anche al bipartisan che è nei cieli, come fosse un marchio di qualità.
Ma, come ha mostrato con il suo propendere all'(altrui) castrazione, Sarkozy non è affatto bipartisan. Ed è facile profezia prevedere che nel menu di riforme che gli saranno presentate dalle sue commissioni bipartisan, sceglierà solo quelle che gli si confanno e che si accordano con la sua specifica ideologia, che è poi è sempre quella della borghesia reazionaria francese, già descritta da Karl Marx nel 18 brumaio di Luigi Napoleone Bonaparte, e che instancabilmente presenta le vecchie ribollite della reazione come ‟il volto nuovo della politica”.
Ed è paradossale che l'adorazione tutta italiana per Sarkozy (in Germania ne hanno un'opinione ben peggiore) assuma toni lirici proprio mentre in Francia vi sono i primi crolli nei sondaggi, le prime crepe nella popolarità, i primi nodi al pettine per promesse che si riveleranno troppo costose, in termini sia economici, sia politici: o Sarkozy annacqua parecchio il suo vino, o l'autunno in Francia sarà torrido.
Ma ognuno ha gli idoli che si merita. E forse allora la verità recondita di questa nostrana ‟sbandata” è che, ancor prima di costituirsi, il Pd ha già svoltato a destra e che i suoi leader sono pronti a sedere sugli strapuntini offerti dal prossimo Sarkozy italiano. Però, temiamo, senza vivere con altrettanta, ammirevole, gallica nonchalance le proprie disavventure coniugali.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …