Marco D'Eramo: Presidenziali USA. La lunga attesa della Chicago nera

05 Novembre 2008
La chiesa evangelica del Cristo Unito è una casetta unifamiliare dipinta di giallo dai muri screpolati. Al suo fianco si apre un cancelletto arrugginito che conduce a un ingresso sul retro. Solo la bandierina a stelle e strisce piantata in un vaso senza fiori ti dice che questo è uno dei seggi elettorali nevralgici del sud della città.
Il Chicago South Side è uno dei ghetti neri più segregati di tutti gli Usa (il tasso di segregazione è del 95%), area malfamata assurta a simbolo dell'abominio urbano statunitense, come l'East St. Louis, il North Philadelphia o Stuyvesant a New York, tutti quartieri di fronte a cui, anche nei suoi giorni peggiori, il Bronx sembrava un grazioso quartiere residenziale.
È martedì mattina e ci arrivo in metropolitana, sulla linea rossa. Ma appena superata l'ultima fermata del centro, la Roosevelt, i passeggeri del convoglio cominciano a scurirsi, finché, quando scendo alla 69-esima sud, sono l'unico bianco rimasto nel vagone. Sempre più i ragazzi indossano i cappucci delle loro tute sopra il berretto da baseball, anche in quest'assolato giorno da estate di San Martino.
Noi abbiamo della miseria urbana un'immagine diversa da quella statunitense. Pensiamo ad affollate bidonvilles, a una folla cenciosa tipo Calcutta. Invece qui hai strade deserte lungo cui scorrono negozi chiusi dalle vetrine sfasciate, distributori di benzina in rovina, casette dismesse dalle persiane bruciacchiate, praticelli incolti, fili spinati, negozi di pegni, spacci di alcolici difesi da inferriate stile Fort Knox. Non è la folla a incutere ansia quanto la solitudine, il deserto, pochi giovani a bigellonare in qualche incrocio. Altri che fanno di tutto per intimorirti quando t'incrociano: «Dove credi di andare, man?». Qui i soli bianchi che vedi sono quelli che gli altri bianchi, con molto tatto, chiamano white trash, «spazzatura bianca». Evidentemente i ragazzi neri mi prendono per un white trash.
Mi aspettavo una lunga fila al seggio, invece gli elettori arrivano alla spicciolata, un paio al minuto. Tra loro vedi molti più malconci, claudicanti, obesi, invalidi, che negli altri quartieri: un'infelicità spicciola, un'infermita sommessa, una male di vivere liso. Eppure votano, a differenza delle altre volte, quando il tasso di affluenza dei neri è stato molto basso (ma quei pochi hanno votato tutti democratico). Mi dicono che il grande afflusso c'è stato la settimana scorsa, per l'early voting, il voto anticipato (concluso giovedì 30 ottobre), in cui hanno votato già 500.000 chicagoans, molti di loro neri, spinti alle urne da brigate di attivisti e militanti di Barack Obama.
Perché qui, nel cuore del South Side, siamo a pochi isolati dalla Grande Moschea della Nation of Islam, la San Pietro dei Musulmani neri di Louis Farrakhan, il cui antisemitismo è stato sfruttato dai repubblicani per cercare di alienare l'elettorato ebreo da Obama - ma siamo anche a 15 isolati dalla Trinity United Church of Christ in cui officia il veemente pastore Jeremiah Wright le cui dichiarazioni incendiare sono state usate per tacciare Obama di antiamericanismo.
Il voto di oggi nel South Side rappresenta per Obama una storica rivincita e l'epilogo di un lungo tragitto. Questo è infatti il quartiere in cui Obama ha subito l'unica sconfitta della sua carriera politica, quando nel 2000 cercò di vincere le primarie democratiche contro il deputato uscente, Bobby Rush. Bobby Rush è un ex Pantera nera, sfuggito per sbaglio nel 1968 all'eccidio delle Black Panthers di Chicago (due furono uccise e 5 ferite nel sonno dalla polizia), riconvertitosi pastore battista e rappresentante della Black America, difensore dei locatari degli alloggi popolari.
Una Black America cui Obama era del tutto estraneo: non discende da schiavi residenti in America da secoli, ma da un vero kenyota di Nairobi; non ha il loro accento, non ha subìto i loro riti di passaggio, non conosce la loro musica. Obama era percepito come un africano, non un nero Usa. E contro Bobby Rush prese una sventola spaventosa: lo consideravano il candidato dei bianchi, lo zio Tom della situazione.
La sua azione di assistente sociale nel South Side, la sua assidua frequenza alle furibonde prediche del pastore Wright costituivano l'unico percorso possibile per legittimarsi come Black American. La campagna contro il pastore Wright può avergli sottratto i voti di qualche razzista bianco (che comunque non avrebbe votato per lui), ma lo ha avvicinato al cuore di questi neri del South Side da cui lo separano il cosmopolitismo, l'istruzione, il censo, la riuscita nella vita.
Nel viaggio di ritorno, l'altoparlante avverte che questa notte la metro viaggerà fino alle due per il gran raduno di Obama: i viaggiatori sono pregati di comprare il biglietto di andata e ritorno in anticipo perché molte casse saranno chiuse. Esco alla fermata di Madison, in piena downtown, e penso che qui tutto richiama il '68, non solo l'ex Pantera nera Bobby Rush. Quando infatti arrivo sulla Michigan Avenue, vicino all'Art Institute, uno dei più celebri musei del mondo, le strade sono già bloccate per il gran raduno della notte elettorale. I 75.000 biglietti sono già stati tutti venduti. Ma gli orgnaizzatori si aspettano un afflusso di mezzo milione di persone qui nel Grant Park, il polmone verde che si estende tra il Lago Michigan e il centro. I giornali consigliano di rimanere a casa, per lo meno di non venire in macchina, e preannunciano file mostruose. Obama aveva solo 7 anni nel '68, quando proprio Grant Park fu il teatro di una delle più efferate repressioni del movimento pacifista. Al bordo del Parco, nell'Hotel Hilton si tenne infatti qui, nell'agosto '68, la Convention democratica che doveva scegliere il candidato alla presidenza, dopo che Bob Kennedy era stato ucciso in California. Affluirono decine di migliaia di pacifisti per manifestare contro la guerra in Vietnam. Per giorni e notti furono caricati da polizia a cavallo, picchiati, trascinati via. Innocenti passanti furono ricoverati negli ospedali. Le immagini di quella repressione fecero il giro del mondo. Proprio in quei giorni, i carri armati sovietici entrarono in Cecoslovacchia per estirpare la primavera di Praga. Le due immagini parallele - Chicago e Praga - mostrarono al mondo imperialismi autoritari simmetrici e simili. Forse nel grande raduno di ieri sera, nello stesso parco di 40 anni fa, c'era anche un segno di riconoscenza postuma per quell'epopea dei diritti civili.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …